Milano Esoterica

milano celtica
Si presume che Milano sia stata fondata dai celti appartenenti alla cultura di Golasecca, e che inizialmente si presentava come un piccolo villaggio ma che è andato ad ingrandirsi col tempo. Tito Livio scrisse che la fondazione avvenne intorno al 600 a.C. ad opera di Belloveso combattendo e sconfiggendo le popolazioni etrusche. La città era situata nel mezzo di importanti vie di comunicazione, in un primo momento si chiamò Mediolanum (“in mezzo alla pianura” o “pianura di mezzo”, con Planum divenuto Lanum, per influsso delle lingue celtiche, in cui la p- cade all’inizio di parola). Il centro della città sembra sia stato lo stesso di quello attuale, ovvero in piazza Duomo. Secondo Polibio (storio antico del mediterraneo) al posto del duomo sorgeva un tempio di una divinità gallica dove erano custodite “le immobili” appartenenti ai guerrieri insubri. L’importanza del nome Medhelan deve far riflettere, in quanto “Medhe” significava in lingua celtica centro (poi medio, in mezzo) e “lan” o “lanon” santuario, rimasto nei toponimi gaelici attuali come “llan” – chiesa, “llawn” – perfezione”. Il sanscrito “Madhya-lan” significa LA TERRA SACRA DEL MEZZO. Pertanto, quando il re Belloveso, a capo di un gruppo Celtico che proveniva dalle zone oltre le Alpi, trovò questo luogo, in cui si trovava una collina situata a 149 m SLM, pensò di fondarvi un centro religioso, un centro sacro che si univa alle proto-città di Como e Golasecca (appunto un Santuario di Mezzo). Forse un collegamento con le antichissime origini di Milano risiede proprio nei costruttori delle chiese e del Duomo, identificati come i Maestri Comacini, depositari di un sapere che deriva da tempi lontani, che recano nella loro arte elementi ‘profani’ (o pagani) che hanno sapientemente saputo adattare a quelli della committenza con cui si si sono trovati a trattare nei secoli (ricordo che la scrivente sta da tempo raccogliendo materiale per accertare come i Comacini possano essere originati dai Collegia Romani, o forse da strutture gerarchiche edilizie antecedenti e che, secondo il Merzario, essi siano da considerarsi il vero  ponte di collegamento tra le tradizioni antecedenti il Cristianesimo fino al XIX secolo). Dove oggi sorge il Duomo caro ai milanesi, un tempo sorgeva un tempio romano dedicato alla Dea Minerva, poi venne edificata una chiesa più piccola, Santa Tecla, sostituita in seguito da una successiva chiesa, Santa Maria Maggiore, chiamata ‘Ecclesia Hiemalis’ (chiesa invernale poiché vi si officiavano i riti soprattutto d’inverno), dedicata a Maria Nascente che risorge al solsitizio d’inverno (che coincide con l’allungamento delle ore diurne, quindi della Luce).Vicino alla piazza c’era un laghetto (le vie ‘Pantano’ e ‘Laghetto’ ne ricordano la presenza) e un tempo questa zona (e per estensione gran parte della Lombardia) aveva molta più acqua di quanta ne vediamo oggi (ricordiamo ad esempio il Lago Gerundo, tra Adda, Serio e Oglio), e la presenza dell’acqua era fondamentale per i Celti, oltre che come mezzo di trasporto e commercio, come elemento purificatorio e magico, legato al femminile, alla dea Madre (identificata via via con appellativi diversi, ma significanti il medesimo concetto). Prima dei Romani, qui sorgeva un santuario costruito dai milanesi insubri, che era dedicato alla Dea Belisama. Pertanto, ci accorgiamo come la sacralità di questo luogo abbia continuato a perdurare nel tempo, sotto varie epoche e culti religiosi (si veda oggi l’importanza che riveste l’attuale Duomo, simbolo di Milano, con la sacra immagine della ‘Madonnina’ sulla vetta). Anche altre costruzioni racchiuderebbero un culto matriarcale ben radicato nell’antico popolo milanese (fonte battesimale di SAN Giovanni, Santo Stefano, SAN Giovanni in Conca). All’interno del duomo si potrà notare, alzando lo sguardo, sul soffitto a destra, dei magnifici esempi di “Triskell”, uno dei più antichi simboli solari celtici, che si esprime nel triplice vortice, traducendo i tre piani dell’essere: umano, divino, e quello della Natura. Un simbolo di unione. Sul secondo portale d’ingresso al Duomo-partendo da sinistra- nella facciata principale, vi è un simbolismo molto importante: la Quercia, sacra ai Druidi (i sacerdoti dei Celti), che incarnava il Dio Dagda, divinità che i Romani identificavano con Giove. La Quercia era associata, secondo la Tradizione Celtica, all’inizio della stagione primaverile, in quanto simbolo di rinascita e di vigore. La rievocazione di un bosco sacro ci viene offerta dalla presenza delle enormi colonne presenti nelle navate del Duomo, assimilabile ad una ‘foresta di querce’. La divinità della Quercia era potente simbolo di unione tra l’Uomo, la Natura e le Forze Cosmiche. Verso Piazza Mercanti, a Milano, ci si imbatte in un altro edificio che reca inciso un curioso simbolo animale: la scrofa semilanuta, identificata con la femmina di un cinghiale bianco (in latino la parola suis =scrofa), animale sacro per i Celti, che fu il primo vero simbolo della città di Milano, che traeva origine da una leggenda, che ci è pervenuta ancora per mezzo di Tito Livio, il quale raccolse probabilmente le notizie da un narratore Insubre. Anche il classico ‘Biscione’, effigiato sullo stemma dei Visconti, ricorda il Serpente caro ai Celti, che ne avevano riprodotto le fattezze sinuose nel dio Cernunnos, dio dalle corna di cervo ma che si muove a spirale per rappresentare il ciclo vitale, la trasformazione di tutto ciò che vive. Cernunnos in molte raffigurazioni tiene in mano un serpente, che ricorda molto il ‘biscione’ visconteo. In corso di Porta Vigentina si trova -all’interno della chiesa – al centro della pavimentazione, la Pietra Forata, con tredici linee incise. E’ conosciuta come la pietra del Tredisin de Mars poiché una leggenda racconta che il 13 marzo del 52 d.C. San Barnaba avrebbe predicato il Vangelo di Cristo erigendo una croce su una pietra forata (che è appunto quella conservata nella chiesa, un tempo si trovava in San Dionigi a Porta Venezia). Si tratta di una pietra rotonda, con un buco in mezzo e una raggiera di tredici linee, oggetto di grande venerazione nei secoli. Il fatto che sia da sempre stata abbinata a San Barnaba, colloca il culto in tempi remoti. La pietra forata ha un valore particolarissimo, risalente all’India Vedica. Sul numero delle linee presenti, tredici, sono state avanzate varie ipotesi, tra cui una delle più interessanti potrebbe essere collegata all’Astronomia: tredici sono infatti le stelle che formano la Costellazione della Vergine che in quel periodo, il 13 marzo, era visibile. Potrebbe essere il retaggio di un antica Tradizione Celtica, di celebrare la ciclicità della Vita in momenti particolari, legati al movimento degli Astri della Luna e del Sole. Nel Castello Sforzesco di Milano, ci sono dei massi interrati che apparentemente non hanno alcun valore archeologico, e sono stati inglobati nel camminamento. Li possiamo vedere entrando dal portone principale, dalla parte della fontana, e passano inosservati, crescendovi anche l’erba attorno. Su questi massi sono incise delle coppelle, cioè fossette scavate nella pietra, che ricordano quelle presenti anche nelle incisioni della Val Camonica. Presso le antiche popolazioni celtiche, le coppelle avevano un valore particolare poiché rappresentavano una forma rituale per consacrare il luogo ad una particolare divinità, anche se si potrebbe ipotizzare la loro correlazione con una particolare costellazione e fissarla in terra. Ulteriori studi potrebbero aiutare a risolvere l’enigma.          

Il Duomo di Milano, Cattedrale Metropolitana della Natività della Beata Vergine Maria

mariae nascenti

Costruito a partire dal 1386 sotto Gian Galeazzo Visconti sul luogo dove sorgeva il battistero di San Giovanni, dove Sant’Ambrogio aveva battezzato Sant’Agostino. Si tratta di una tarda espressione dell’arte gotica, una simmetria di ispirazione germanica comune anche alle altre cattedrali europee. Infatti, particolari numeri e figure geometriche come il triangolo e il quadrato fanno parte del segreto dei costruttori di questa grande opera architettonica. Maestoso e imponente, vero rompicapo anche per gli architetti contemporanei, il Duomo ha una lunghezza esterna di 157 m e un’area interna di 11.700 metri quadri. La guglia, con la statua dorata della “Madonnina”, è alta 109 metri.

“Si dice che sotto il Duomo ci sia un laghetto, il quale era adorato dai Celti; infatti, il popolo Celta credeva nella Dea Belisama, che viene ricordata dalla Madonnina sulla punta del Duomo (questa Dea aveva una duplice funzionalità, quella lunare, che ricordava la femminilità`, la madre col bambino, e quella solare, che ricordava il territorio, un tempo ricco di boschi) la quale era considerata Dea dell’acqua, cioè Dea della vita (infatti l’acqua era sinonimo di ricchezza vitale). Questa Dea, tra l’altro, a Milano veniva raffigurata (e chiamata con un nome specifico) come una scrofa pelosa (la scrofa semi lanuta di via Mercanti). Da qui cominciò tutto, i Celti edificarono un tempio o “cromlech”, cioè grandi cerchi formati dai menhir (pietre erette verticalmente) e dai dolmen (camere megalitiche); dopo questi tempi Pagani, arrivarono altri templi costruiti dai Romani e, successivamente, diverse chiese Cristiane che, una sull’altra, diedero vita (dopo molti anni) al duomo di Milano.”

Entriamo all’interno. La luce che penetra dalle vetrate gotiche produce un’atmosfera di mistica solennità. Parallela alla facciata rivolta a Ovest, notiamo sul pavimento una sottile linea d’ottone estesa per tutta la larghezza dell’edificio. A nord, la linea sale lungo la parete, in verticale, e termina con un riquadro nel quale è raffigurato il segno zodiacale del Capricorno. Altri riquadri minori seguono la linea sul pavimento e nell’ultimo, a sud, è raffigurato il segno del Cancro. Ogni giorno, a mezzogiorno, un raggio di luce penetra dal soffitto e va a colpire la linea meridiana, indicando il periodo dell’anno in cui ci si trova. Il maggior risalto dato al segno zodiacale sulla parete a nord è attribuibile alla sua sovrapposizione con il Natale Cristiano. Ma non possiamo dimenticare che il Capricorno è anche l’animale col quale viene raffigurato il diavolo. I costruttori del Duomo volevano comunicarci qualcosa? Quali segreti nasconde questa simbologia?

In ogni cattedrale gotica sono presenti elementi architettonici e simboli d’origine templare ed orientale, ed è risaputo che l’idolo adorato dai templari era il Bafometto, una sorta di demone cornuto. C’è una similitudine tra il Bafometto ed il capricorno del Duomo? Qual è il significato di tale simbolismo?

Sulla facciata del secondo portale d’ingresso di sinistra, spicca una formella tra le tante, raffigurante un albero, precisamente una quercia, che i Druidi veneravano essendo tutt’oggi simbolo di forza, coraggio, vigore e rinascita. La quercia incarnava il Dio Celtico Dagda (per i romani impersonava Giove). La quercia è presente anche nel portone principale, infatti in mezzo all’apertura del portone vi è un albero che si dirama dando origine a formelle raffiguranti sull’ala destra del portone la nascita di Gesù e, sull’ala sinistra, la sua morte (con tutta la Passione). Si notano benissimo sul fondo del portone le radici dell’albero, questa presunta quercia allunga i suoi rami fin tutta l’altezza del portone sorreggendo la Madonna, Gesù, la Trinità e tutta una schiera d’angeli. Tale albero potrebbe essere anche la simbologia dell’albero della vita (il famoso albero proibito dal quale mangiarono Adamo ed Eva).

All’interno del Duomo, oltretutto, si ha l’impressione di essere di fronte ad un’antica foresta di querce (le colonne gotiche); infatti, i Maestri Comancini che contribuirono alla realizzazione del progetto, ben conoscevano il valore che la tradizione Celtica attribuiva a tali piante.

Sempre sulla facciata del Duomo, possiamo notare varie figure di draghi e serpenti, presenti in Italia soltanto su questa cattedrale. Queste figure emblematiche rappresentano simbolicamente l’energia che ci trasmette la terra sulla quale viviamo ed il potere di trasformazione.

Duomo zodiaco 3
Duomo zodiaco 1
Duomo zodiaco 2 1

Mostri Medioevali

Doccioni
Doccioni 2

ORIGINE DEI BESTIARI FANTASTICI MEDIEVALI

La rappresentazione di creature fantastiche zoomorfe, immaginarie e mostruose, è un tema molto comune nell’arte, ma nel Medioevo fu particolarmente presente, costituendo un motivo costante all’interno e all’esterno delle cattedrali, nei mosaici, nei bestiari, nelle miniature e nelle cosmografie di tutti i paesi d’Europa.

Una così ricca varietà iconografica non può certamente nascere dal nulla, ma attinge a una lunga tradizione secolare che ne ha lentamente definito le caratteristiche, radicandosi in tutti gli strati della popolazione.

Il patrimonio teratologico, che comprende creature zoomorfe, antropomorfe e ibride, permeate da un dinamismo metamorfico, è un’eredità stratificata e sedimentata del passato, a partire dall’età arcaica: provengono dalla mitologia greco-romana, dalla Bibbia, dal vicino e dall’estremo oriente. Il Medioevo non inventa forme ex novo, ma riprende, enfatizza, contamina, fraintende persino le immagini della tradizione, continuamente riscritta e interpretata da generazioni successive di miniatori, dottori e chierici.

L’origine degli animali mostruosi andrebbe situata in un periodo molto antico della storia dell’umanità. Secondo la legge detta della pars pro toto, si credeva che fosse sufficiente impadronirsi della parte più significativa di un qualsiasi animale per poterne acquisire le caratteristiche, fossero esse potenza, velocità o eleganza. Si passò così ad unire parti diverse di animali con lo scopo di generare un essere ibrido capace di assommare tutte le caratteristiche possedute dai singoli frammenti.

In Occidente i primi esempi di animali mostruosi formati da parti di animali diversi provengono dall’epoca sumerica , che elabora tutta una serie di spiriti maligni  e di demoni, tra cui si distinguono quelli a forma di drago. I soggetti allegorici, che il medioevo eredita dal mondo greco-romano, trovano i loro prototipi presso gli antichi popoli mesopotamici. Queste creature erano poste in una posizione intermedia tra gli dei e gli esseri umani e si credeva che abitassero sia gli Inferi quanto i luoghi più lontani e desolati della terra, come i deserti e le montagne.

Il mostro di forma animale si può suddividere in tre categorie: l’animale mostruoso, vale a dire animali reali cui vengono attribuite parti deformate oppure animali composti da parti che appartengono a specie differenti, come la chimera o il grifone; l’ibrido uomo-animale (es. la sirena e il centauro), animale-vegetale (es. l’anatra vegetale) o animale-minerale; e la specie immaginaria, come la fenice o l’unicorno.

Tramite le opere dei greci Ctesia di Cnido (Περσικά, La Storia della Persia) e di Megastene, vissuti nel III-IV secolo a.C., il mondo occidentale viene anche a conoscenza delle creature dell’immaginario orientale. Ctesia, medico reale alla corte persiana di Artaserse II dal 415 al 398 a.C., raccoglie le sue impressioni sull’India sotto il nome di Indika, opera in un libro unico, della quale possiamo leggere solo attraverso il compendio di Fozio, patriarca di Costantinopoli nel IX secolo. Ctesia descriveva accuratamente la flora e la fauna indiana, ricostruite probabilmente attorno ai racconti su quelle terre uditi da mercanti persiani. Gli stessi autori antichi erano scettici in quanto alla veridicità di queste descrizioni, ma il dato importante è l’influenza che esse hanno avuto sull’immaginario di allora e su quello futuro. Negli Indika, infatti, si parla per la prima volta di unicorni,  cinocefali, grifoni, manticore, ma anche galli, pecore e capre dalle dimensioni prodigiose.

Le opere di Plinio il Vecchio (Historia Naturalis) e di Solino (Collectanea rerum memorabilium), saranno i vettori principali di trasmissione di un Oriente leggendario dal mondo latino all’immaginario Medievale.

L’Alto Medioevo, nato sulle rovine dell’Impero romano, è caratterizzato da un diffuso senso di insicurezza, accentuato dal senso di perdita di controllo sulla natura. In questo contesto i confini del mondo animale si fanno più labili: da un lato la bestia fantastica tende a confondersi con quella reale, dall’altro si sfuma la separazione tra essere umano ed essere bestiale.

Tra VIII e IX secolo si completa il radicamento di tutto questo apparato di meraviglie nella cultura occidentale pienamente cristianizzata, il quale resterà un tema fondamentale nelle grandi enciclopedie di XII e XIII secolo, dimostrando una straordinaria capacità di sopravvivenza e adattamento alle esigenze che man mano si presentano.

I bestiari medievali si presentano come il risultato di diverse componenti ereditate da antiche culture orientali, ellenistiche e romane, in cui la scienza, il mito e la magia si fondono dando origine a un mondo animale complesso nel quale confluiscono, oltre alla componente cristiana, anche quella sciamanica portata dalle culture delle steppe nel mondo europeo in seguito alle migrazioni di popoli dal III al X secolo d.C.

Nel Basso Medioevo la fede nell’esistenza degli animali mostruosi aumenta. Mostri e draghi popolano anche le saghe nordiche e celtiche, perché gli antichi Celti non si erano accontentati di riprendere dal mondo mediterraneo raffigurazioni mostruose di lontana origine orientale, quali i grifoni e le sfingi, ma ne avevano inventati di nuovi, come il cavallo con la testa umana e il serpente con la testa d’ariete.

La zoologia fantastica si diffonde attraverso scritti come il De rebus in Oriente mirabilibus, la Epistola Alexandri ad Aristotelem e i fantasiosi racconti delle straordinarie imprese di Alessandro Magno, la Lettera del Prete Gianni, la letteratura di viaggio, come la Navigatio Sancti Brendani e i resoconti dei missionari.

Un punto di riferimento fondamentale per la cultura medievale e per la zoologia è la Bibbia, dove troviamo animali fantastici come il basilisco, il Leviatano, feroce mostro marino, il Behemoth, un mostro terrestre, e lo spaventoso drago con sette teste dell’Apocalisse.

Guglielmo, Pulpito, leone e drago, 1159-62, Cagliari, Duomo

È facile, partendo da una così ricca e coerente produzione letteraria, capire come queste immagini si siano radicate a tal punto nell’immaginario da non poter essere più messe in discussione. Essendo impregnate di un forte potere evocativo, inoltre, il livello di senso di queste immagini non si limita a un processo di pura visione, ma si articola in rimandi simbolici e allegorici, con connotazioni religiose e morali.

I MIRABILIA ALL’INTERNO DEL SIMBOLISMO MEDIEVALE

Il termine latino mirabilia rimanda all’osservazione di un fenomeno o di una cosa ancora sconosciuta, ma anche al coinvolgimento emotivo che ne consegue: stupore, sopresa, ammirazione di fronte a un qualcosa di straordinario, ignoto e perfetto oppure a un qualcosa di bizzarro e mostruoso,  che si svela e nel suo mostrarsi ammonisce, insegna e fa pensare. Ricordiamo che il termine “mostro” deriva dal latino monstrum ossia “prodigio, cosa straordinaria, fenomeno contro natura”, che trae la sua radice da monere, avvertire, ammonire.

Ma se l’Antichità relegava i mostri tra i fenomeni contro natura, presenti ai margini del mondo “civile” o in luoghi lontani, il Medioevo cristiano invece li riqualifica, includendoli nel misterioso disegno divino, all’interno del quale anche il più bizzarro e osceno personaggio trova la sua funzione e il suo significato.

Così Isidoro di Siviglia, riprendendo le conclusioni del De civitate Dei di Agostino, che coniugava il naturalismo pagano con l’universalismo cristiano, include i mirabilia nel libro XI delle EthymologiaeDell’essere umano e dei portenti e, prendendo le distanze dai latini, afferma che “i portenti non sono contro natura, in quanto frutto della volontà divina, essendo la volontà del Creatore la natura di ogni realtà creata”.

In ogni ambito, dalla geografia, all’arte, alla scienza alla narrazione, si assiste nel Medioevo ad una continua compenetrazione di due livelli di senso, materiale e spirituale, percepita però non con stupore e meraviglia, ma come qualcosa che rientra nell’ordine che lega naturale e sovrannaturale.

Abbazia di Sant’Antimo, particolare di un capitello della facciata, XII secolo, Montalcino

Nell’ottica cristiana, che fa capo al pensiero neoplatonico, tutto il creato è permeato dell’essenza spirituale di Dio, e ogni fenomeno è potenzialmente il mezzo tramite il quale si risale a Lui. Non c’è da stupirsi che l’uomo medievale creda nell’esistenza di pietre magiche, o di fenomeni miracolosi: soprattutto gli aspetti più strani e irrazionali aiutano a comprendere l’ineffabilità dei segni divini, basti pensare all’imponente culto delle reliquie.

L’uomo medievale non si poneva al centro del cosmo. Egli era cosciente della propria inferiorità rispetto alla potenza divina, che si manifestava anche nell’implacabile forza della natura.

La base concettuale del mostruoso nel pensiero medievale ha origine nella teologia negativa di Dionigi l’Aeropagita. Secondo questa teologia, poiché Dio trascende la conoscenza umana, quest’ultima non può indicare ciò che Dio è, ma solo ciò che non è. In questo modo si avvicina alla verità più della teologia affermativa, che cerca di definire Dio con nomi santi e venerabili, ma non riesce a coglierne la natura ineffabile. Ne consegue, per Dionigi, che il metodo migliore per rappresentare il divino è attraverso ciò che esso non è, facendo quindi ricorso alle immagini più mostruose e assurde, più lontane e “dissimili” dalla sua natura perfetta.

Questa visione esercita un’enorme influenza non solo sulla filosofia cristiana, ma costituisce la base per lo sviluppo dell’arte grottesca dal periodo romanico in poi.

Duomo di San Nicola, Cattedra di Elia, particolare, 1098 circa, Bari

Il simbolismo animale nell’arte religiosa raggiunge il suo apice nell’XI e nel XII secolo: quasi tutti gli utensili, gli ornamenti, i paramenti, le opere architettoniche e gli oggetti di arredamento sono decorati con animali simbolici, reali o fantastici. In una società prevalentemente analfabeta, l’istruzione religiosa del popolo dipendeva dall’uso di quelle immagini e di quei simboli. Secondo Le Goff, la carica didattica e ideologica dell’immagine dipinta e scolpita prevale a lungo sul valore propriamente estetico. Tuttavia, questa affermazione non sempre è vera. La disposizione spaziale di pitture e sculture nelle chiese, infatti, spesso riguarda più il coro, riservato al clero, che la navata dove si ammassano i fedeli. Certe opere, addirittura, non sono pensate per essere viste: le più raffinate miniature sono racchiuse in manoscritti destinati a un pubblico molto ristretto.

Nelle immagini medievali, come nella società in generale, non c’e una separazione netta tra sacro e profano: nei margini dei manoscritti religiosi o negli stalli del coro di certe chiese si insinuano mostri e oscenità che non sembrano avere nessuna relazione con la religione. Sarebbe fuorviante, pertanto, sforzarsi di attribuire a ogni costo un significato simbolico a tutti i mostri e creature bizzarre che compaiono nell’arte medievale. Se è vero che il Medioevo costituiva un unico universo simbolico, è anche vero che gli artisti spesso diedero vita alle loro opere non per esprimere una visione  del mondo, ma per personale godimento e amore delle forme, combinandole e deformandole secondo la propria fantasia oppure, come vedremo, per esigenze puramente architettoniche.

L’ARTE ROMANICA

L’universo è una teofania, cioè una manifestazione di Dio, e la cattedrale romanica è un microcosmo, immagine dell’ordine universale. Le arti plastiche costituiscono il supporto su cui si riflette l’immagine di Dio: l’arte è al servizio della teologia e nella maggioranza dei casi le immagini scolpite durante l’età romanica hanno una funzione simbolica.

Non si tratta, però, di un simbolismo semplice: gli animali fantastici che troviamo nella scultura romanica non appaiono tanto per rappresentare o descrivere, quanto per fornire un senso, per far percepire un’idea, ma questo significato è molteplice, spesso ambiguo e a volte anche contraddittorio.

Il simbolo accoglie il fedele sui portali, lo osserva dai capitelli o dai pavimenti musivi, si nasconde nelle absidi. L’uomo che entra in una chiesa romanica, non ha che da guardarsi intorno per essere subito mosso verso la contemplazione e la preghiera.

Anche la fauna fantastica, data come esistente in terre lontane da Plinio a Solino, da Isidoro di Siviglia a Brunetto Latini, fa la sua comparsa sui portali e sui capitelli, ma anche nei mosaici, come allegoria del bene o del male. La figura animale fantastica non è piu vista secondo il principio aristotelico come deformazione della natura, ma come difformità: il mostro è emanazione del volere divino, segno della sua sapienza, dunque allegoria di un valore spirituale e specchio che rimanda a significati invisibili, esattamente come ogni altra cosa della natura.

Abbazia di Sainte-Madeleine, capitello 107, Lotta fra due diavoli, 1120-50, Vézelay

Nell’iconografia della chiesa romanica sono presenti temi delle storie sacre ma anche temi laici e profani. I soggetti iconografici della tradizione pagana (centauri, sfingi, sirene) e quelli della contemporanea letteratura cavalleresca (le storie del ciclo carolingio e del ciclo bretone) coesistono con un repertorio che attinge alla vita quotidiana: tipica la sequenza dei dodici mesi dell’anno, rappresentati dai simboli dello Zodiaco e dalle attività contadine, oppure la serie dei mestieri.

Prete Pantaleone, Zodiaco con i mesi di novembre e dicembre, 1163-65, Otranto, Cattedrale.

Queste immagini popolari coesistono con le raffigurazioni di un mondo irrazionale e fantastico: mostri, draghi, sirene. Tutto si compone in un patrimonio culturale unitario, in cui – sia pure a diversi livelli di approfondimento – ciascuno poteva riconoscere la propria esperienza reale e quotidiana e vedere tradotti in forme visibili i princìpi della fede insieme alle speranze e alle paure dell’ignoto.

Mostro che divora un bambino, Chiesa di Saint-Pierre, XII secolo, Chauvigny

Secondo Baltrusaitis, invece , le immagini mostruose della scultura romanica originano dalla volontà di conformare le immagini scolpite allo schema architettonico. In questo modo, quando l’architettura romanica impone la sua geometria perfetta alle forme viventi e alle figure di animali, queste si alterano, si deformano e acquistano sembianze mostruose.

Il disordine e l’instabilità apparenti delle forme che occheggiano dalle cornici e dai capitelli romanici sono in realtà orchestrati da un ordine perfetto, quello dell’architettura.

Le figure mostruose e grottesche che risultano da simili deformazioni non sono, pertanto, il frutto di un capriccio arbitrario dell’immaginazione, bensì di leggi geometriche precise che obbediscono alla necessità di garantire l’equilibrio architettonico. Sebbene ciò possa sembrare contraddittorio, è dal calcolo più rigoroso, che lo scultore è obbligato a rispettare, che si arriva alla creazione delle figure più fantastiche e bizzarre.

Cattedrale di Saint-Etienne XI – XII secolo), Cahors, Francia.Un capitello – Public Domain via Wikipedia Commons

L’ARTE GOTICA

Anche l’arte gotica è all’insegna del fantastico, ma propende più verso il bizzarro che verso il mostruoso.

Se nel periodo precedente l’intenzione era quella di impressionare, di ammonire e anche di far paura, nel gotico, invece, il mostruoso e il terrifico si sciolgono in riso e da simboli (segni che rimandano direttamente all’ordine divino) si trasformano in allegorie morali.

Il Medioevo gotico evoca, in generale, la scoperta della natura e della vita. Con l’esaurirsi dell’iconografia romanica, con i suoi mostri e i suoi prodigi attorniati da decorazioni astratte e stilizzate, abbiamo l’esplosione di una flora viva e rigogliosa e di belle e armoniose figure umane. Tuttavia, come fa notare Baltrušaitis nel suo Medioevo fantastico, questa prospettiva è lontana dall’esaurire tutti gli aspetti della produzione artistica dell’epoca medievale, la quale non rinuncia mai al fantastico, ma vi ritorna senza posa, facendo rivivere e arricchendo le sue forme primitive, grazie agli apporti esterni provenienti soprattutto dall’oriente.

LE DRÔLERIES

Tra il Duecento e il Quattrocento si sviluppa sul margine dei libri, delle miniature, delle opere d’arte e dei monumenti un’arte marginale. Gli ibridi e i mostri che appaiono sui margini dei manoscritti miniati gotici presentano varie combinazioni di parti animali, umane e vegetali. Il Rinascimento applica a queste figure bizzarre e mostruose il termine di drôleries (in inglese drollery, facezie).

Gli esempi includono galli con testa umana, cani che portano maschere umane, draghi simili a uccelli con la testa di un elefante sulla schiena. Ma l’iconografo che si avventura nei manoscritti gotici si trova di fronte all’impossibilità di classificare queste immagini e di attribuire loro un significato. Spesso hanno una connessione tematica con il soggetto del testo della pagina, ma altrettanto spesso vengono considerate la prova evidente di un intento puramente decorativo e della libertà immaginativa dell’artista.

Tra il XII e il XIII secolo si produce una scissione fra immagini e decorazione, fra lo stile dell’illustrazione, la miniatura propriamente detta, e la decorazione dei margini, l’enluminure, fino ad arrivare a due programmi indipendenti affidati a due artisti diversi.

Secondo alcuni studiosi, un impulso a questo sviluppo di motivi marginali sarebbe stato dato dai rapidi mutamenti nella disposizione della pagina manoscritta e della sua funzione. Fondamentali da questo punto di vista sarebbero stati i nuovi metodi di organizzazione e di lettura della scolastica, che considerava il testo come un luogo da glossare o da commentare piuttosto che come oggetto di meditazione. Un ulteriore impulso allo sviluppo della drôlerie è da ricercare inoltre nell’incremento della produzione di libri miniati per i laici, soprattutto salteri e libri d’ore, grazie a una maggiore diffusione dell’alfabetizzazione al di fuori dei monasteri e delle chiese.
Un manoscritto molto noto per il suo cospicuo numero di drôleries è il Salterio Luttrell, che ha creature ibride e altri mostri su una grande quantità di pagine.

Le drôleries dei margini miniati non sono limitate ai margini dei manoscritti, ma escono e arrivano agli affreschi e alle vetrate, come si può vedere  sul recinto del coro della Cattedrale di Colonia.

I DOCCIONI

Tipici dell’architettura gotica sono i gargoyle (in francese gargouilles), in italiano chiamati gargolle o doccioni.
Secondo la definizione classica, un gargoyle (dal latino gargulium, che significa “esofago” o anche “gola”, termine onomatopeico che fa riferimento al gorgoglìo dell’acqua) è semplicemente la parte delle grondaie che sporge dall’edificio, un sistema di scarico per l’acqua piovana che si protende da un tetto o un cornicione con lo scopo di allontanare l’acqua dai muri, che altrimenti verrebbero erosi.

L’uso di realizzare queste uscite di scarico in pietra scolpita risale in Europa al X-XI sec., anche se già gli antichi egizi, ma soprattutto greci e romani avevano fatto ricorso a queste strutture architettoniche.

Nel periodo gotico i doccioni sono costituiti da figure grottesche o animali mostruosi che riversano a terra l’acqua piovana il più delle volte dalle fauci o dalle narici. La spiritualità visionaria del medioevo generò gargoyle di ogni tipo, da facce sorridenti a ghignanti figure demoniache, da personaggi grotteschi a esseri mostruosi metà bestie e metà uomini e a chimere, esseri ibridi formati da più animali. In Italia li troviamo perlopiù solo nel duomo di Milano, ma sono molto diffusi nelle cattedrali gotiche tedesche e francesi, come ad esempio a Saint-Denis e a Notre-Dame de Paris.

Riconoscendo la necessità di dividere i condotti d’acqua per moltiplicare gli scarichi e ridurne di conseguenza la portata, il numero dei doccioni aumenta in modo considerevole. Essi diventano un vero motivo decorativo; alcuni sono dei capolavori della scultura e non mancano i gargouilles in metallo.

I GRILLI GOTICI

Nell’iconografia gotica nasce e si diffonde tutta una serie di creature poco conosciute nel XII secolo, come i mostri ottenuti per combinazione di teste, i grilli, che si ispirano alla glittica greco-romana (anche se i primi grilli sono stati ritrovati sui sigilli mesopotamici e in certe decorazioni dell’arte scitica).

Il tipo rudimentale di questa specie di creature fantastiche sostituisce l’intero corpo con una testa a cui sono attaccate direttamente delle zampe, come si può vedere nella seguente illustrazione, le cui prime due figure riportano le raffigurazioni presenti nel soffitto di Metz (1220 ca).

Il nome di grilli deriva da un testo di Plinio, in cui si parla della caricatura di un certo Gryllos (porcellino). Il termine è usato inizialmente per indicare le pitture satiriche con forti deformazioni, quindi una sorta di caricature, ma poi è applicato quasi esclusivamente alla glittica. Queste pietre, incise con figure i  cui corpi sono composti di teste, sono probabilmente degli amuleti che hanno a che fare con la fertilità e la ricchezza, perché la ripetizione, lo spostamento, la dilatazione mostruosa e la mescolanza delle forme viventi fanno sgorgare una forza sovrannaturale.

Sono soprattutto le pietre e le gemme antiche decorate, che il Medioevo ama e usa dappertutto, perché le ritiene dotate di poteri magici, a introdurre le figure dei grilli nell’arte medievale, che non si limita ad ammirarle, ma le imita, creandone di nuove.

Grilli antichi. llustrazione da Baltrusaitis

Dalla prima metà del Trecento sono frequenti gli esseri fantastici composti da una testa umana con le zampe direttamente attaccate ad essa. Queste combinazioni possono essere più complesse: spesso sulla prima testa se ne innesta un’altra con un lungo collo. Altre volte la creatura è costituita da una doppia faccia con le zampe, un viso davanti e un becco dietro, ma si possono trovare fino a quattro o cinque teste che si uniscono nello stesso soggetto; oppure teste su zampe con un collo che termina a testa d’uccello o di quadrupede, o ancora volti umani sul petto o sul posteriore di animali.

Le facce circolano  su tutto il corpo, si fissano dappertutto: appaiono su quadrupedi, uccelli, sirene, animali fantastici di ogni tipo, ma l’abilita dell’artista è tale che le facce si incorporano naturalmente dando l’impressione di un unico individuo.

Questi motivi si trovano sugli stalli del coro, sui soffitti e sui pavimenti e sono molto diffusi nella decorazione dei manoscritti.

FONTI

Celtegh.com

Duepassinelmistero.com

CropOnline.org

Milanoplatinum.org

 

Condividi su