Storia dello Sciamanesimo

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Le Origini

Lo sciamanesimo deve il suo nome a un tipo di operatore religioso, lo sciamano (termine derivato dal tunguso, una lingua siberiana), che sfugge a ogni definizione precisa. Mago e stregone, saltimbanco e sacerdote, guaritore e veggente, lo sciamano interpreta tutti questi ruoli senza lasciarsi ridurre a nessuno di essi in particolare. Per designare questo personaggio dalle molteplici funzioni, sul finire del XVIII secolo si afferma il termine ‘sciamano’. L’uso di questo vocabolo, volutamente generale e indefinito, si estese nel corso dell’Ottocento, allorché si scoprì che personaggi analoghi esistevano in ogni parte del mondo in varie società primitive sia del passato che contemporanee. Da questa constatazione nacque il concetto di sciamanesimo, il cui campo di applicazione si estende ulteriormente nel XX secolo. Da un lato si identificano in alcune società complesse elementi sciamanici mescolati ad altre forme religiose, in particolare ai margini del buddhismo (in Asia), del cristianesimo (soprattutto nell’America del Sud) e dell’Islam (specialmente nell’Asia centrale e nell’Africa settentrionale); dall’altro si riconosce che lo sciamanesimo non si limita agli atti e ai gesti dello sciamano. Il concetto assume un significato sempre più ampio e generico, soppiantando quelli di ‘possessione’ e ‘medianità’, e contribuendo ad alimentare la confusione tra queste categorie.

Il termine tunguso ‘sciamano’ fa la sua prima comparsa nel racconto dell’arciprete russo ortodosso Avvakum, esiliato in Siberia alla fine del XVII secolo, il quale indica nello sciamano un suo rivale religioso, al servizio del diavolo anziché di Dio, e descrive il rituale fatto di salti, gesticolamenti e grida che questi esegue per prevedere il tempo.
Questo comportamento rituale, che colpisce gli osservatori occidentali ed è alla base dell’immagine selvaggia e stravagante associata allo sciamano, rientra nella logica del pensiero sciamanico e riflette l’etimologia del termine: šama- significa infatti ‘muovere i piedi’, ‘agitare le gambe’, e quindi saltare, danzare accompagnandosi con la voce, ed è usato per gli animali e per gli esseri umani che ne imitano il comportamento.

Secondo l’intrepretazione religiosa, che è prevalsa a lungo e non è mai stata abbandonata, lo sciamanesimo nasce da un atteggiamento condiviso dalla società e pertanto non è un fenomeno psichico individuale bensì un fenomeno sociale. Tale interpretazione – derivata dagli scritti dei missionari che videro nello sciamanesimo un ostacolo alla loro attività e lo demonizzarono – si diramò ben presto in varie correnti. Alla fine del secolo dei Lumi si affermano due posizioni, condivise sia dagli enciclopedisti sia dai preromantici.

Nel corso del XIX secolo queste due correnti subiscono una trasformazione, dando luogo a due diversi orientamenti. Il primo, tipico di alcune cerchie intellettuali, considera lo sciamanesimo come l’antenato dello spiritismo e dell’occultismo da esse coltivato. Il secondo, derivato dal positivismo e dalla nascente sociologia, constata l’impossibilità di definire lo sciamanesimo una religione per l’assenza di qualsiasi elemento costitutivo: né una dottrina, né edifici di culto, né un clero, né una liturgia, né un dio destinatario dei rituali, e nemmeno una pluralità di esseri divini, bensì solo spiriti innumerevoli e fluttuanti. In effetti la pratica sciamanica ha degli aspetti sconcertanti. Rigorosamente orale, essa si adatta ai singoli contesti variando da un’etnia all’altra, da uno sciamano all’altro nell’ambito della stessa etnia e da un rituale all’altro in uno stesso sciamano. Quasi fosse compatibile con qualsiasi fede, se non addirittura privo di qualsiasi fondamento concettuale, lo sciamanesimo persiste ai margini delle grandi religioni. Si va dunque diffondendo l’idea che non vi sia una religione sciamanica, ma solo “un certo tipo di uomini che esplicano determinate funzioni sociali e religiose” in società caratterizzate dall’animismo e dal totemismo.

Lo scambio con gli spiriti della natura

Nonostante l’influsso della colonizzazione russa e del regime sovietico, le società che vivono di caccia nella foresta siberiana possono essere considerate come società semplici, primitive e acefale.

In esse la funzione sciamanica essenziale – l’unica che ricorra regolarmente – consiste nell’assicurare la ‘fortuna’ nella caccia, il che equivale a sottoporre la cacciagione a regole che ne attenuino l’aleatorietà della comparsa e ne giustifichino la cattura da parte dell’uomo. Questa funzione si fonda sull’idea che gli esseri naturali di cui si nutre l’uomo (selvaggina, pesci, piante) siano dotati anch’essi di una componente spirituale che ne anima i corpi. Si parla di ‘spirito’ per gli animali e di ‘anima’ per l’uomo, ma la loro funzione è analoga e il loro status equivalente, e ciò consente all’uomo di avere con gli spiriti animali (con il mondo soprannaturale) lo stesso tipo di rapporti che ha con i propri simili. I rapporti con gli spiriti gli consentono di accedere al mondo animale; in altri termini, i rapporti con il soprannaturale aprono l’accesso alle risorse della natura. L’obiettivo della funzione sciamanica è di ottenere dagli spiriti, sotto forma di promesse di cacciagione (di ‘fortuna’) per i cacciatori, la forza vitale degli animali, necessaria all’anima dell’uomo così come la loro carne è necessaria al suo corpo. L’appropriazione di forza vitale effettuata col rituale sciamanico condiziona e prefigura a livello simbolico l’appropriazione di carne effettuata nella realtà con la caccia.

Nelle società sciamaniche tradizionali tale funzione è spesso concentrata nel personaggio definito come ‘sciamano’. Questi però non è l’unico membro della comunità a rivendicarne il possesso, né ha la certezza di conservarlo a lungo, in quanto viene giudicato dai risultati e può essere soppiantato da uno dei suoi rivali. Del resto la stessa funzione può essere assolta da un gruppo, o anche dall’intera comunità. Come affermano alcune popolazioni siberiane che eseguono collettivamente i rituali pubblici, vi può essere sciamanesimo senza sciamano.

L’appropriazione di forza vitale e di carne non avviene impunemente: dagli spiriti animali, così come avviene con gli uomini, si può prendere solo a condizione di ricambiare (altrimenti si tratta di furto, passibile di vendetta). Si ha dunque uno scambio: così come gli uomini si nutrono di cacciagione, gli spiriti degli animali selvatici si nutrono della forza vitale degli uomini divorandone la carne e succhiandone il sangue. È nell’ordine delle cose che gli uomini si ammalino, perdano la loro vitalità col passare degli anni e alla fine muoiano. Non si va in cerca di chi si è smarrito nella foresta o di chi annega, perché si crede che questo sia il modo in cui gli spiriti si risarciscono del debito contratto dagli uomini. Analogamente, si coltiva l’ideale della ‘morte volontaria’ del cacciatore il quale, una volta assicurata la propria discendenza, si ritiene debba ‘consegnarsi’ alla foresta. Malattia e morte sono lo scotto da pagare per la vita vissuta e per assicurare quella dei discendenti. Così lo scambio tra uomini e spiriti animali assicura la perpetuazione della vita di entrambi sotto forma di un’eterna consumazione reciproca che semina nel mondo la morte. Essi sono insieme partners e prede gli uni degli altri.

Questo scambio è modellato sullo scambio matrimoniale e si svolge nel contesto di un’alleanza. Per poter prendere legittimamente la cacciagione dagli spiriti animali, lo sciamano (o il gruppo investito della funzione sciamanica) deve anche prendere legittimamente moglie tra di essi, deve essere sposo e non rapitore. Questa alleanza legittima la funzione sciamanica. Essa è la garanzia che il gruppo umano rimborserà gli spiriti, in modo che la cacciagione ricompaia, e rende lo scambio riproducibile, in quanto obbliga chi prende a dare a sua volta.

La gestione di questo scambio richiede che lo sciamano sia maschio, dato che nell’alleanza con gli spiriti egli assume il ruolo di chi prende moglie. Esistono peraltro anche sciamani di sesso femminile, che hanno un ruolo subordinato sia nello sciamanesimo che nella caccia. Non potendo uccidere la cacciagione né prendere moglie presso gli spiriti, esse non possono assicurare lo scambio tra i due mondi; esercitano la loro funzione mediante le anime dei defunti, ma le loro relazioni non sono ritualizzate: di conseguenza le donne sciamane sono legittimate unicamente attraverso la pratica.

La funzione sciamanica presenta tre aspetti interdipendenti: stabilire il principio dello scambio mediante l’alleanza con gli spiriti, garantirne il buon andamento con l’alternanza tra la morte della cacciagione e quella degli uomini, e vegliare sulla perpetuazione dei due partners. Questi tre aspetti trovano espressione nei rituali periodici di rinnovamento che perpetuano la comunità in quanto tale nel suo ambiente, insieme a esso e per mezzo di esso.

L’alleanza. – Nei rituali sciamanici viene sempre rappresentata l’alleanza che sta a fondamento dello scambio con gli spiriti. Là dove la funzione è affidata a uno sciamano, essa si concreta nel suo matrimonio rituale con uno spirito femminile del mondo che elargisce il nutrimento – con la figlia di uno spirito della foresta o delle acque che fornisce le prede della caccia o della pesca. La sposa silvestre è immaginata come una femmina di grande cervide (alce o renna, che rappresentano la selvaggina per eccellenza), la quale vuole per marito lo sciamano per le sue doti virili. Apparendogli in sogno, ella promette di proteggerlo se si dimostrerà un buon marito e se manterrà il segreto su di lei, ma di farlo morire se parlerà di lei, se l’abbandonerà o se perderà la sua virilità. Poiché lo spirito conserva la sua natura animale (in caso contrario non potrebbe aprire l’accesso al mondo animale), spetta allo sciamano adattarsi. È per questa ragione che egli si animalizza nel rituale, con il suo travestimento (costume in pelle d’alce, corona sormontata da corna ramificate) e con il suo comportamento, una sorta di lotta e di danza in cui salta, dà testate, emette bramiti e si scuote come l’animale maschio che respinge i rivali e si accoppia con la femmina. Questo processo di animalizzazione si riflette anche nei termini usati per indicare l’azione dello sciamano o l’esecuzione di un rito sciamanico – termini che designano l’eccitazione sessuale (in samoiedo) o vi alludono indicando i movimenti (‘salto’ in tunguso e in yakuto, ‘testata’ in buriato) caratteristici dell’eccitazione sessuale negli animali considerati modelli di mascolinità e combattività.

L’alleanza con uno spirito animale è alla base sia del carattere selvaggio e spontaneo del comportamento rituale dello sciamano, sia dei comportamenti informali ma stereotipati (assenze, torpore, rifiuto di cibarsi di carne) che segnano l’inizio della sua carriera e che rappresentano delle prove (come l’assunzione di allucinogeni nell’America del Sud). Questi comportamenti, che si manifestano nella pubertà, sono considerati il segno dell’entrata in contatto con gli spiriti animali. Ogni adolescente maschio può cercare l”amore’ tra questi spiriti come tra i suoi simili, ma l’accesso al ‘matrimonio’ rituale è limitato da vincoli sociologici. Presso alcuni popoli artici (Koriak, Ciukci) la relazione amorosa rimane informale: chiunque può comportarsi come uno sciamano, danzando e cantando per gli spiriti, e agire da sciamano assolvendo una funzione collettiva. Là dove la concentrazione della funzione porta al ‘matrimonio’ rituale, l’investitura non è mai definitiva ma deve essere periodicamente riattualizzata, in quanto la conservazione della funzione dipende dai risultati ottenuti. Se la stagione di caccia è stata sfavorevole, lo sciamano che l’ha preparata viene sostituito nel rituale successivo, in cui si celebra il matrimonio di un altro sciamano.

Animalizzazione e altri aspetti chiave

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Per lo studio dello sciamanesimo in generale occorre sottolineare tre punti.

In primo luogo, il simbolismo dell’alleanza con gli spiriti animali, che comporta l’animalizzazione dello sciamano, è sufficiente a spiegare il suo comportamento e permette di prescindere dalle discussioni sulla sua natura normale o patologica e sul carattere spontaneo o artificiale del suo comportamento. Non è necessario richiamarsi a un particolare psichismo o a un condizionamento fisico. Lo sciamano comunica attraverso i movimenti del corpo con gli spiriti animali. Quando salta o si scuote non è né folle né isterico, ma si attiene al modello prescritto per la sua funzione, interpreta il suo ruolo. Egli non mira a raggiungere un determinato stato psichico o a vivere un’esperienza (concezioni tipicamente occidentali), ma a compiere l’azione che il suo gruppo si attende. Non è quindi lecito parlare di trance, di estasi o di stati di coscienza alterati. Il contatto tra l’uomo e gli spiriti ha il valore di una rappresentazione simbolica, indipendentemente dalla realtà psichica. Se lo sciamano accede alla sua funzione esprimendo in privato, in modo informale, certi stati psichici che manifestano l’allontanamento dell’anima verso gli spiriti (rifiuto di mangiare e di parlare, fuga nell’onirico), la esercita invece in pubblico in un contesto rituale, mediante gesti e suoni che sono considerati forme di danza e di canto rivolte agli spiriti.


In secondo luogo, il principio dell’alleanza associata allo scambio con gli spiriti degli esseri naturali di cui l’uomo si nutre s’incontra nella maggior parte delle società sciamaniche (presso i Kham-magar del Nepal, gli Inuit del Canada, gli Achuar dell’Amazzonia, ecc.), anche se tale alleanza non è sempre matrimoniale e rimane segreta. Infine il simbolismo dell’alleanza, che rende lo sciamano sposo di uno spirito, fornisce un criterio strutturale per distinguere lo sciamanesimo da alcuni fenomeni di possessione in cui il posseduto, quale che sia il suo sesso, ‘viene sposato’ da uno spirito. Rispetto allo sciamanesimo, nella possessione il senso dell’alleanza tra uomini e spiriti risulta invertito. Lo sciamano ha lo status di colui che prende, pur potendo interpretare anche altri ruoli; il posseduto per contro ha lo status di oggetto dell’alleanza (e interpreta solo questo ruolo, mentre il ruolo di chi dà è svolto per lo più da un responsabile del culto, officiante o musico). Questa diversità di status è alla base delle altre differenze associate.


Ambivalenza dello scambio – Essendo simmetrico e reciproco, lo scambio implica per principio una generale ambivalenza. Gli spiriti sono concepiti come partners degli uomini in condizioni di parità con essi; assicurano la vita, ma devono anche toglierla: in sé non sono né buoni né malvagi, ma possono essere di volta in volta l’una o l’altra cosa; sono rispettati, ma mai venerati né implorati. Ambivalente è anche la funzione sciamanica, in cui l’atto di ‘prendere’ dagli spiriti animali è sempre necessariamente associato al dovere di ‘compensarli’ per la fortuna ottenuta: la sopravvivenza di tutti si paga con la morte di alcuni. Al termine del rituale lo sciamano dà l’esempio e la garanzia di questo risarcimento agli spiriti: su un tappeto che raffigura la foresta e la sua fauna egli cade inerte sul dorso, non perché esausto bensì perché divenuto offerta, selvaggina, come l’alce con il quale all’inizio si era identificato per la virilità. Gli astanti attendono che lo sciamano, sfuggendo al pericolo di essere divorato dagli spiriti, si rianimi e predica a ciascuno il suo futuro e la sua speranza di vita. Questo momento cruciale spiega perché lo sciamano sia sempre oggetto di un timore reverenziale. A conclusione del rituale, i partecipanti decidono di comune accordo sulla correttezza della sua esecuzione, assumendosi la loro parte di responsabilità sulla sua efficacia futura.
Oltre a garantire la lealtà del partner umano, la funzione sciamanica implica anche l’arte di volgere lo scambio a proprio vantaggio. Essa deve rispettare la natura del risarcimento agli spiriti, ma può giocare sull’entità e sui tempi. L’abilità dello sciamano consiste infatti nell’ottenere il massimo (in termini di quantità di cacciagione) nel più breve tempo possibile, e nel restituire il minimo (in termini di forza vitale umana) il più tardi possibile. A questa concezione della gestione dello scambio con gli spiriti si deve l’aspetto ludico e drammatico del comportamento dello sciamano, e il carattere personale e innovativo della sua azione. Essa spiega l’incertezza che grava sull’esito del rituale, il quale non consiste nel replicare un modello, bensì nel ‘giocare una partita’ e vincerla; e spiega anche le rivalità tra sciamani e l’impossibilità per lo sciamanesimo di istituzionalizzarsi, di fondare una dottrina, un clero e una liturgia.
Questa concezione dello scambio, con la sua ambivalenza, si ritrova in varie parti del mondo, generalmente sotto forma di connessione tra morte degli esseri umani e ritorno della selvaggina, dei pesci o della stagione favorevole. Presso i Desana dell’Amazzonia lo sciamano contratta il numero di anime umane da dare agli spiriti in cambio della selvaggina. In molte società i morti tornano sotto forma di pioggia che feconda i pascoli o i campi. È diffusa inoltre la credenza che un’eccessiva fortuna nella caccia o nella pesca provochi la morte di chi ne ha beneficiato o dei suoi congiunti. Un’ambivalenza simile si ritrova presso i ‘benandanti’ del Friuli, che propiziano i raccolti con lotte, salti e giochi.

I riti di perpetuazione – La perpetuazione dello scambio impone quella dei partners – la specie animale e il gruppo umano. Così come la cacciagione riappare ogni anno, allo stesso modo si ritiene che le anime umane ritornino da una generazione all’altra: è necessario che i vivi procreino per dare ai morti una discendenza in cui ‘rinascere’, e che i morti si riciclino per rinascere in essa. È questo l’oggetto di rituali pubblici che si svolgono regolarmente e ai quali è obbligatorio partecipare. Oltre alle parti indirizzate ai morti, questi rituali comprendono una serie di ‘giochi’ che consistono nell’imitare attraverso forme di combattimento e di danza i comportamenti di lotta e di accoppiamento delle specie cacciate, con i loro corollari cruenti e ludici, e costituiscono dunque una rappresentazione scenica degli ideali di difesa e di perpetuazione. Un tempo diretti dagli sciamani, tali riti sono oggi affidati alla collettività e hanno assunto una funzione di supporto dell’identità etnica.
Rituali analoghi svolti periodicamente (di perpetuazione, di fecondità e di rinnovamento), mirati a rinnovare sia l’alleanza sia le parti che la stipulano, s’incontrano ovunque vi sia un sostrato sciamanico. Tali riti comprendono spesso danze d’imitazione degli animali: è necessario che questi si riproducano affinché possa riprodursi l’uomo che se ne nutre. Spesso è presente una componente iniziatica (rito di passaggio) basata sullo schema ‘morte e rinascita’. Presso i Tucano Mai Huna dell’Amazzonia gli uomini, che nella vita quotidiana praticano la caccia al pecari, imitano nella loro danza rituale il comportamento del maschio e poi quello della femmina di tale animale, occupando successivamente le varie posizioni nel circuito dello scambio.

I rituali di questo tipo sono stati ovunque osteggiati dalle grandi religioni e dai poteri centrali per la loro rilevanza politica (assicurano la perpetuazione della società) e per il loro carattere potenzialmente sovversivo (le entità sovrannaturali sono trattate su un piano di parità).


Da quest’aspetto della funzione sciamanica sono derivati i rituali più noti, che hanno dato luogo alle interpretazioni terapeutiche dello sciamanesimo. Questi rituali privati e remunerati, spesso definiti come ‘cure’, mirano a risolvere i problemi specifici che ostacolano la perpetuazione. Alcuni hanno per oggetto i morti privi di discendenti ed esclusi dai rituali di rinnovamento, in quanto si crede che le loro anime, frustrate dall’impossibilità di rinascere, facciano soffrire i vivi catturandone le anime o sostituendosi a esse. All’influenza di questi defunti vengono imputate le malattie nervose e mentali. Le ‘cure’ consistono nel compensare i morti – in particolare con la possibilità di rinascere – al fine di liberare i vivi dal loro influsso negativo. Altri riti hanno lo scopo di guarire la sterilità, di far rinascere il gusto di vivere e riprodursi. Questi rituali privati, piuttosto rari nelle società sciamaniche tradizionali, si sviluppano con la colonizzazione o con l’incorporazione in uno Stato centralizzato. Agli occhi degli osservatori essi hanno acquistato tanta più importanza da quando, a seguito delle trasformazioni della società o del modo di vita, gli sciamani sono stati esclusi dai rituali regolari a opera di altre istanze politiche o religiose.

Relazione con le anime dei defunti

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Limitate nelle società di cacciatori, le relazioni con i defunti acquistano maggior rilievo nell’attività sciamanica con l’introduzione dell’allevamento nelle regioni ai margini della foresta siberiana. Poiché il bestiame e i pascoli sono trasmessi per via ereditaria, per il possesso di questi beni l’allevatore si sente debitore nei confronti degli antenati, che diventano oggetto di cerimonie rituali in quanto spiriti che garantiscono la sussistenza. Con il passaggio dalla caccia all’allevamento questa categoria di spiriti subisce un cambiamento: se prima aveva natura animale ed era posta su un piano di parità con gli uomini (orizzontalità), ora diventa umana e si colloca al di sopra degli uomini (verticalità). I rituali periodici che rappresentano i legami di discendenza con gli antenati non sono condotti dallo sciamano ma dalle autorità claniche, e comportano due pratiche assenti nelle società basate sulla caccia. L’allevatore venera con la preghiera gli antenati da cui discende e dipende, e offre loro in sacrificio animali domestici che, essendo allevati da lui, possono sostituirlo come forma di pagamento per i mezzi di sussistenza elargiti dagli antenati. Sebbene anche in questo caso la sussistenza sia frutto di uno scambio, questo non è più simmetrico né reciproco, e alla sua base non vi è più l’atto del ‘prendere’, ma quello di ‘investire’ per ricevere un beneficio.
Escluso dai rituali periodici di perpetuazione, lo sciamano si limita a compiere rituali occasionali di riparazione dei disordini e si specializza nella gestione delle anime: soccorre i vivi resi folli dai morti senza discendenti, nonché quelli afflitti da malattie inviate loro dagli antenati come punizione per aver infranto l’ordine sociale. In quanto intermediario nel dialogo tra vivi e morti, lo sciamano privilegia nel suo rituale la componente verbale rispetto a quella gestuale. La ‘cura’ e il suo complemento preventivo, la divinazione, acquistano importanza, ma alla aumentata richiesta delle prestazioni dello sciamano fa riscontro un indebolimento della sua posizione sociale. Grazie a questi rituali egli acquista il potere e l’opportunità di manipolare i vivi in nome dei defunti di cui è interprete: può accrescere la collera di questi ultimi o la loro sete di vendetta, ma può anche neutralizzarle. Allo sciamano viene dunque riconosciuta una certa efficacia terapeutica, nonché un potenziale di aggressività che può essere utilizzato contro gruppi nemici.
La ‘cura’ e la divinazione sono effettuati da sciamani sia maschi che femmine; le differenze riguardano soprattutto la natura degli spiriti che ne legittimano la funzione. Anche in questo caso lo sciamano è legato a una sposa spirituale d’origine animale (presso i Buriati del Baikal continua a indossare una corona sormontata da corna, a bramire e a saltare), ma umanizzata. In Siberia la sposa, che si ritiene debba prender marito entro una stessa discendenza patrilineare, viene trasmessa per eredità da uno sciamano al suo successore – da qui deriva l’idea di uno sciamanesimo ereditario. In mancanza di figli maschi, è una figlia a ereditare il diritto di esercitare questa funzione, cui non si può rinunziare senza danneggiare l’intera comunità. Anche qui, come nelle società di cacciatori, per diventare sciamano la donna può rivendicare il contatto con l’anima di un defunto.
Allo stesso modo mutano, seppure in forme differenti da una società all’altra, le parti sostenute rispettivamente dagli spiriti degli esseri naturali e da quelli originati dalle anime dei defunti nel ruolo di dispensatori di sussistenza. Questi cambiamenti si accompagnano spesso a un’inversione del senso dell’alleanza tra uomini e spiriti, che trova espressione nei fenomeni di possessione. Una divisione analoga dei rituali tra due tipi di specialisti (rituali pubblici affidati a rappresentanti dell’ordine associati al potere, rituali privati affidati ad agenti riparatori che costituiscono dei contropoteri) si ritrova pressoché ovunque. Tale divisione spiega l’apparente paradosso della presenza di elementi sciamanici nelle società africane e australiane, dove esistono specialisti definiti in genere guaritori, indovini o stregoni, che sono il corrispettivo degli sciamani di certe società pastorali o agricole del Sudamerica e dell’Asia.

Commistioni

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Le pratiche sciamaniche sono considerate sovversive e marginali, e quindi in un contesto politico centralizzato l’istituzione sciamanica non può esistere se non frazionata in una pluralità di contropoteri, e il rituale non può che essere privato.

Un’attitudine sciamanica può nondimeno permanere allo stato latente, pronta a riemergere sotto nuove forme.
Le pratiche riconducibili a un atteggiamento di tipo ‘sciamanico’ sono diverse, ma gli obiettivi cui esse mirano – clemenza del tempo, fertilità, salute, buon esito di un viaggio o del servizio militare, fortuna al gioco o in amore, oppure, più di recente, successo negli affari, agli esami o alle elezioni – sono sempre caratterizzati dall’aleatorietà, come lo è la comparsa della selvaggina. Questo carattere aleatorio è proprio delle risorse naturali in generale, e ciò spiega il riferimento allo sciamanesimo da parte di quanti propugnano un ‘ritorno alla natura’, recuperando l’immaginario animistico del cacciatore, o da parte degli ecologisti, che ne riprendono la moderazione. Gli obiettivi dell’azione sciamanica non sono sempre risorse naturali in senso stretto, e tuttavia sono sempre concepiti a loro immagine: si tratta di beni donati e non prodotti, e quindi sono di quantità limitata; non sono accessibili a chiunque in ogni momento; implicano abilità o fortuna in coloro che riescono a ottenerli, e provocano frustrazioni e invidia negli altri. È questa la ragione della centralità del concetto di ‘gioco’ nel vocabolario dell’azione sciamanica, dall’esito sempre incerto. La fortuna si conquista, opera una selezione e una redistribuzione. Questa concezione attiva della fortuna è alla base dell’obbligo di superare delle prove per divenire sciamano, e di dimostrare di saper piegare gli spiriti per essere reputato uno sciamano capace. La stessa concezione si ritrova in alcune pratiche (veggenza, psicoterapia, attività artistiche e sportive, ecc.) in cui intervengono rapporti selettivi con entità immaginarie che hanno le stesse funzioni degli spiriti sciamanici: angelo custode, anima di un familiare defunto, buona stella, segno zodiacale, talismano, ecc. Ciò impedisce all’istituzione sciamanica di divenire una forza politica, ma rende le pratiche sciamaniche una risorsa sempre disponibile.

La deriva moderna

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Nella West Coast americana hanno avuto origine, con il contributo degli etnologi, i vari movimenti ‘neo-sciamanici’, il più noto dei quali è quello di Michael Harner. Nati per favorire il rinnovamento indigeno, essi sono diventati per lo più imprese commerciali che organizzano corsi a pagamento per apprendere tecniche esotiche di terapia di gruppo; altri movimenti propugnano il superamento del Sé attraverso stati di trance provocati dall’assunzione di psicofarmaci. Si tratta però di semplici tecniche destituite di senso in quanto sradicate dal loro contesto culturale.
Il neo-sciamanesimo, orientato dapprima verso l’esperienza e la terapia personali e successivamente verso la creazione artistica, dopo il 1990 si è progressivamente allontanato dai suoi referenti esotici per evolversi in senso universalistico (ecologia, new age, ecc.), diffondendo tecniche corporali e psichiche di sviluppo personale in armonia con lo spirito del nostro tempo – neoliberale, individualista e pragmatico sotto l’apparenza del misticismo.

Fonte: Enciclopedia Treccani

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