« Nella Roma Imperiale sussistevano i resti di uno strano ponte di legno. Era composto da travi sublique ed oblique, senza chiodi e affidato a persone sacre, una sorta di fratellanza o setta, che rispondeva, con la vita dei suoi membri, della sua conservazione. A costoro derivò il titolo celeberrimo di pontefici o facitori del ponte. Su questo ponte si compivano in epoca arcaica misteriosi e segreti sacrifici »
Viene ritrovato il cadavere di un giovane annegato nel Tevere. L’indagine di polizia per accertare l’identità del morto e le modalità del decesso (non si capisce all’inizio se si tratti di suicidio od omicidio) s’intreccia a una torbida storia di scandali e corruzione che ha implicato, oltre al padre del giovane annegato, alcuni politici e magistrati. Il procuratore incaricato delle indagini sospetta che la morte di Giacomo Fiorenza (questo il nome del defunto, anche se in tutta la vicenda ci sono dubbi che il cadavere ritrovato sul greto del Tevere sia proprio il suo) sia una rappresaglia da parte di personaggi potenti implicati nello scandalo; di diversa opinione Stefano, il miglior amico di Giacomo, come lui studente di architettura, che sospetta trattarsi in realtà di un vero e proprio sacrificio umano celebrato da una setta esoterica. Questa tesi è accreditata anche dal fatto che si scopre dagli esami autoptici che Giacomo è stato legato prima di morire e gli è stato spalmato il Garum, una salsa liquida dell’epoca dei Cesari; inoltre nello stomaco gli vengono trovati alcuni semi di Silfio, pianta ormai estinta che in passato era utilizzata per le esigenze più disparate, mediche e non. Alla vicenda poliziesca, complicata da un’indagine portata avanti negli Stati Uniti da un investigatore privato, Fedrigo, incaricato dal Consolato italiano a Saint Louis di rintracciare Emily Cohen, la ragazza americana di Giacomo, si aggiunge la trama esoterica: questa ruota attorno a due figure misteriose, la ricca e affascinante Maria Valover, che negli anni Trenta e Quaranta era al centro di un gruppo di artisti e intellettuali, e il suo amante Norberto Sinisgalli, studente di architettura negli anni prima della seconda guerra mondiale e appassionato di esoterismo. Giacomo e Stefano erano arrivati al Sinisgalli ritrovando casualmente alcune sue carte in un ripostiglio della Facoltà di Architettura: una vasta documentazione legata a riti magico-religiosi della Roma arcaica, celebrati annualmente dal Pontifex Maximus sul Ponte Sublicio, il più antico ponte di Roma. I riti culminavano nel sacrificio di alcuni prigionieri di guerra, legati e gettati nel Tevere per ingraziarsi gli dei. Proprio dalle carte del Sinisgalli era nata la ricerca che conducevano insieme i due studenti, e Stefano si rende conto ben presto che sapere di Sinisgalli e delle sue ricerche è estremamente pericoloso. Sinisgalli infatti, durante la guerra, ha carpito la fiducia di ricche famiglie ebraiche, facendosi intestare i loro beni con la promessa di restituirli dopo la vittoria degli alleati; gli ebrei benestanti si fidavano di lui perché era anch’egli di discendenza ebraica, ma venivano regolarmente denunciati ai nazisti e deportati nei lager. Questo consente a Sinisgalli di accumulare un’enorme fortuna; le tracce di questo personaggio si perdono però poco prima che gli alleati entrino a Roma. Le voci più diverse circolano sul suo destino: ucciso per vendetta, fuggito all’estero, o forse ancora in Italia sotto falso nome, coperto da un’identità comprata con le sue ricchezze. Qualcuno sospetta addirittura che sia entrato in politica e oggi ricopra una carica prestigiosa.
<< Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene nel quale siamo intrusi, una terra che ha regole che non conosciamo dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo. Noi in questo territorio possiamo solo subire un mistero che anziché disvelarsi si fa sempre più impenetrabile. Io non so dire se questa è una pena o un premio, io non so dire nulla… ma so che questo luogo dove sono non deve essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato >>
Il segno del comando
Che cosa possono avere in comune tra loro due sceneggiati trasmessi in TV, uno nel 1971 (Il Segno del Comando di Daniele D’Anza) e uno nel 1996 (Voci Notturne di Pupi Avati) con un castello senese, via Margutta nella città di Roma, i templari e un ponte e una piazza non più esistente nella loro forma originale? Possiamo rispondere “tante cose” e vediamo perché. Tutto inizia nella realtà in epoche assai remote, al tempo del cosiddetto “morbo oscuro”, circa verso il ‘300/500. Epoca questa oscura dove negromanti e maghi vi si muovevano con estrema disinvoltura. Nello sceneggiato “Il Segno del Comando” assistiamo ad una storia di fantasmi, di sette e sedute medianiche eseguite allo scopo di contattare un negromante che rispondeva al nome di Ilario Brandani, artefice del monile raffigurante un gufo (simbolo della conoscenza magica) che veniva appunto chiamato “Il Segno del Comando” allo scopo di capirne i segreti Il negromante Brandani visse nel Castello Frosini situato nel comune di Radicondoli a Siena ma pressoché nel territorio Pisano. Costruito sulla cima di una alta collina, circondato da fitti boschi e a picco sulle sorgenti del torrente Pavone di fronte alla “Cornata di Gerfalco” faceva parte dei possedimenti dei vescovi di Volterra. Successivamente fu il feudo della famiglia dei Pannocchieschi, conti del vicino castello di Elci e poi ancora entrò nell’ambito della sovranità senese, probabilmente sotto il dominio dei Conti D’Elci. L’interno del castello non è accessibile ne visitabile in quanto il tempo, i vandali e l’incuria lo hanno degradato. Ai piedi della rupe, dove si poggia il castello, si dice che un tempo vi fosse una sorgente d’acqua sulfurea, all’oggi scomparsa e che fosse presente una “pietra calaminare” anche se non vi sono testimonianze della presenza di una miniera nei territori. Dal XII al XIV secolo il castello, secondo fonti storiche, fu anche una “magione” dei Cavalieri Templari, rifugio di pellegrini e base del potente e misterioso ordine cavalleresco. Altre due strutture poi sono da evidenziare. Una piazza non più esistente a Roma distrutta in tempo di guerra (della quale si parla ne Il Segno del Comando) e un ponte, sempre a Roma, il Ponte Sublicio (oggi modificato e un tempo costruito in legno da ignoti affiliati di una setta con un procedimento segreto senza chiodi ne corde) che appariva nelle puntate della miniserie Voci Notturne. Questo sceneggiato è stato rimandato in onda su Rai Premium tra agosto e settembre del 2013 e, per chi non lo avesse visto a suo tempo, spero che non se lo sia perso perché valeva proprio la pena di guardare di nuovo questa miniserie. Anche in questa storia (Voci Notturne) si parlava di magia e, nello specifico, di sacrifici umani fatti alla base del ponte e sulle sponde del Tevere. Pupi Avati vide a suo tempo Il segno del comando e ne rimase affascinato tanto da “creare” questa nuova storia anche essa carica di atmosfere gotiche e presenze impalpabili. Siamo di fronte alla trasformazione, usata come base, di fatti accaduti, di personaggi reali, per la stesura di sceneggiature per la TV. Molti elementi sono in comune per entrambe le storie, medesimi gli spunti. Da sottolineare anche le musiche che accompagnavano le pellicole, partiture musicali veramente enigmatiche e piene di fascino. Nello sceneggiato di D’Anza “Il Segno del Comando” ascoltiamo il 17° componimento del misterioso Baldassarre Vitali e in Voci Notturne le musiche vennero scritte utilizzando metodi in disuso da secoli. Nella mia memoria risuonano ancora le note e le parole della canzone “Cento Campane” cantata da Lando Fiorini nel segno del comando e che riporto qui a fianco. Il mio consiglio, per chi non li avesse mai visti questi sceneggiati tv, è quello di approfondirne le storie e reperire quante più possibili informazioni tenendo conto che non tutto venne partorito dalla mente fervida degli sceneggiatori ma che tanto si trova ancora immerso nel più reale e oscuro passato.
La Società Teosofica
La metà degli anni Novanta fece da spartiacque tra un’epoca televisiva e un’altra. E Voci Notturne, sceneggiato in cinque puntate trasmesso da Rai Uno a partire dalla fine del settembre del 1995 con cadenza settimanale, fu l’opera che segnò il discrimine tra un prima e un poi. Concepito e scritto da Pupi Avati e coprodotto dalla Duea del fratello Antonio insieme alla Rai, Voci Notturne resta una specie di particolarissimo a latere nel curriculum del regista, il quale nemmeno vi fa menzione nella sua recente biografia. Particolarissimo perché Avati concentrò in esso il distillato più puro e ossessionante del proprio immaginario fantastico-esoterico, quella che trapelava solamente in parte nei primi esperimenti cinematografici di Balsamus l’uomo di Satana e Thomas… gli indemoniati e che tornava ad emergere in Zeder, soprattutto, e quindi ne “L’ Arcano Incantatore”, ovvero le misteriche vicende connesse con la figura dell’alchimista francese Fulcanelli, autore all’inizio del secolo scorso di un paio di testi capitali per la comprensione dei segreti di quella che un tempo veniva definita Ars Regia.
Fulcanelli – Avati scrisse Voci Notturne partendo dall’enigma di Fulcanelli e tessè intorno a questo nucleo primario una stratificata, labirintica e coltissima serie di trame e sottotrame che mescolavano in un’affascinante atanor la storia delle religioni classiche e la musicologia antica, gli scandali allora recentissimi di Mani Pulite e le telefonate dall’aldilà, i più oscuri segreti legati alla Seconda Guerra Mondiale e all’Olocausto e la fenomenologia ambigua delle sette New Age. Il punto di partenza è il ritrovamento nel Tevere del cadavere di un ragazzo, il cui padre è stato implicato in un grosso scandalo politico. Una vendetta trasversale, sembrerebbe. Se la famiglia non cominciasse a ricevere misteriose chiamate notturne in cui a manifestarsi per telefono è la voce del defunto che afferma di non essere morto. E se le ricerche compiute da un paio di medici legali molto intraprendenti non facessero emergere dati illogici, come la presenza nello stomaco del cadavere dei semi di una pianta, il silfio, apparentemente estinta da millenni. La pista razionale seguita dalla polizia e dalla magistratura nell’indagine procede parallela a un’investigazione condotta da un amico del morto, uno studente universitario che con lui condivideva le ricerche per una tesi di laurea inerente l’ubicazione e i riti connessi a un ponte romano detto Sublicius, all’origine della quale stavano altrettanti studi compiuti dall’inafferrabile Norberto Sinisgalli, il cuore nero di tutta quanta la faccenda e l’alias che Avati utilizza per adombrare la personalità del summenzionato Fulcanelli. Voci Notturne, all’epoca della prima emissione televisiva nel 1995 non ebbe alcun successo. A tal punto che la quarta e la quinta puntata furono trasmesse di seguito, la stessa sera, in modo da seppellire al più presto il flop. Fummo in pochi ad accorgerci subito che ci si trovava di fronte a un capolavoro, perlomeno appaiabile a quel segno del comando che spesso si cita come fonte d’ispirazione dell’opera scritta da Avati e diretta da Fabrizio Laurenti. Ma si trattava di un culto privato e ristretto, rinnovabile con le registrazioni su VHS che noi lungimiranti avevamo effettuato. Voci Notturne, infatti, scomparve completamente dai palinsesti Rai: mai più trasmesso e men che meno pubblicato in videocassetta e poi in DVD. Nemmeno l’avvento dei canali tematici digitali e della conseguente filosofia del recupero di cose televisive remote sbloccò quella che sembrava una vera e propria damnatio memoriae dello sceneggiato in questione, a proposito del quale si diffondevano di quando in quando voci “notturne” incontrollate: ad esempio che i master originali fossero andati distrutti in un incendio o che Avati avesse in capo di farne un remake poi abortito per via della difficoltà di ottenere l’ok sui diritti da parte della Rai. Questo fino al 2009/2010, quando ex abrupto Voci Notturne torna a fare capolino, dopo circa quindici anni, nel palinsesto di Rai Due, seppure a un orario impossibile come le due del mattino. Avendo le vecchie registrazioni dell’emissione originale, a quel punto trasferite in digitale, chi scrive non fu tra quanti videro questa replica, che non aveva goduto, peraltro, della minima pubblicità. Invece sarebbe stato interessante seguire e confrontare questa versione con quella del 1995, perché avremmo scoperto qualcosa di aberrante di cui ci siamo invece accorti soltanto quattro anni più tardi, in questa estate del 2013, quando Voci Notturne a partire dall’inizio di agosto è stato programmato in prima serata, alle 21,15, e con tutti gli onori pubblicitari del caso, dal canale del digitale terrestre Rai Premium. Un ganglio vitale della trama di Voci Notturne si lega alla presenza e all’azione di una setta americana denominata SOCIETÀ TEOSOFICA PER IL RITORNO DELLO SPIRITO ORIGINARIO. A partire dalla terza puntata dello sceneggiato questo nome spesseggia sulle labbra di alcuni dei protagonisti, in particolare di Jason Robards III, che interpreta un investigatore italo-americano sulle tracce, negli States, della fidanzata del ragazzo ucciso. Dalla versione di Rai Premium – che usa gli stessi master trasmessi nel 2009 da Rai due, peraltro di buonissima qualità audio/video – è stato eliminato il riferimento alla Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario. E’ stato fatto un montaggio “di taglio”, cioè eliminando i pezzi di filmato in cui i personaggi pronunciano tale nome (in un caso, esso era visibile anche su una casa che nella finzione era una sede abbandonata della società). Nel momento in cui scriviamo (22 Agosto), Voci Notturne è stato trasmesso fino alla terza puntata, per cui possiamo giudicare dei tagli (un paio) effettuati su questa sola puntata. Ma nella quarta e nella quinta parte, i riferimenti alla SOCIETÀ TEOSOFICA si fanno sempre più frequenti, il che implica che il disastro non si limiti a un paio di sequenze mutilate.
DOMANDA: Perché eliminare qualsiasi riferimento alla Società Teosofica?
RISPOSTA: Perché la Società Teosofica Italiana, già negli anni Novanta, immediatamente dopo la messa in onda originale, sporse lamentela sia nei confronti della Rai sia nei confronti di Pupi Avati, in quanto il proprio nome si trovava associato, nella storia, alle operazioni di una setta delinquenziale. Presto sarò in grado di fornire ulteriori dettagli, ma il mistero dei pezzi mancanti del nuovo Voci Notturne si risolve in una banalissima rimostranza – che ha ricevuto udienza e da parte della Rai e da parte di Avati – dell’ente morale della SOCIETÀ TEOSOFICA ITALIANA.